Licenziamento legittimo

Preliminarmente, nel caso in esame, secondo le doglianze difensive del lavoratore licenziato, la sentenza impugnata recherebbe motivazione solo apparente nell’affermare che effettuare una pausa al bar durante l’attività lavorativa possa costituire fatto illecito al punto da consentire il ricorso ai servizi di investigazione privata.

In realtà, invece, secondo giurisprudenza consolidata, le disposizioni dello Statuto dei lavoratori nel limitare la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale non precludono a quest’ultimo di ricorrere ad agenzie investigative, purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria. Cioè a dire che detto intervento deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero adempimento dell’obbligazione contrattuale.

Invero, i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti oppure integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, anche “laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione”.

Vi è più, infatti, la nozione di “patrimonio aziendale” tutelabile in sede di esercizio del potere di controllo dell’attività dei lavoratori va intesa in una accezione estesa, ossia il proprio patrimonio così inteso è costituito non solo dal complesso dei beni aziendali, “ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico”.

In estrema sintesi, circa il controllo mediante agenzie investigative, la tutela del patrimonio aziendale può riguardare la difesa datoriale anche in termini della “lesione all’immagine e al patrimonio reputazionale dell’azienda, non meno rilevanti dell’elemento materiale che compone la medesima” (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 8707/2025).

Pubblicazione 14/2025

Tecniche di combattimento

Risponde del delitto di omicidio volontario l'esperto di boxe per aver “commesso il fatto attraverso l’uso di tecniche di combattimento tali da ostacolare la privata difesa”, avendo egli agito “nella consapevolezza che, scagliandosi con la massima intensità” contro il volto del malcapitato lo avrebbe neutralizzandolo con conseguente caduta a terra impattando così su una superficie rigida e con spigoli.

In particolare, “sulla modalità con cui i colpi sono stati inferti, avendo il prevenuto posto in essere una sequenza di colpi - ben quattro pugni di cui conosceva la micidialità - e, quindi, usato una tecnica replicabile solo da chi conosce le tecniche fondamentali di combattimento, tanto da assumere una posizione di guardia e mantenere una certa distanza dalla vittima in modo da sferrare pugni alla massima potenza, come emergente dalla dinamica fattuale interamente ripresa dalle telecamere” ed analizzata da un esperto di tecniche di combattimento della Polizia di Stato.

Per cui, se da un lato “la circostanza aggravante della minorata difesa va valutata caso per caso valorizzando situazioni che abbiano ridotto o comunque ostacolato la capacità di difesa della parte lesa, agevolando in concreto la commissione del reato”; dall’altro lato è indubbio che, nel caso all’esame dei giudici di legittimità, “il fatto è stato commesso da un soggetto particolarmente esperto nell’arte del combattimento, il quale improvvisamente colpiva la vittima, la quale non era vigile o pronta nell’attuare anche una minima difesa poiché colta di sorpresa; - oltre alle capacità tecniche possedute, idonee ad integrare quella particolare condizione da cui il medesimo ha tratto vantaggio nell’esecuzione del delitto”.

Ed inoltre, “sussiste la circostanza aggravante dei futili motivi ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa e da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale” (Cassazione penale, sentenza n. 11985/25).

Pubblicazione 13/2025

In materia di adozioni

Nell’attuale contesto giuridico e sociale caratterizzato da una significativa riduzione delle domande, il divieto assoluto imposto alle persone singole rischia di «riflettersi negativamente sulla stessa effettività del diritto del minore a essere accolto in un ambiente familiare stabile e armonioso».

Pubblicazione 12/2025