Preliminarmente, nel caso in esame, secondo le doglianze difensive del lavoratore licenziato, la sentenza impugnata recherebbe motivazione solo apparente nell’affermare che effettuare una pausa al bar durante l’attività lavorativa possa costituire fatto illecito al punto da consentire il ricorso ai servizi di investigazione privata.
In realtà, invece, secondo giurisprudenza consolidata, le disposizioni dello Statuto dei lavoratori nel limitare la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale non precludono a quest’ultimo di ricorrere ad agenzie investigative, purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria. Cioè a dire che detto intervento deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero adempimento dell’obbligazione contrattuale.
Invero, i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti oppure integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, anche “laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione”.
Vi è più, infatti, la nozione di “patrimonio aziendale” tutelabile in sede di esercizio del potere di controllo dell’attività dei lavoratori va intesa in una accezione estesa, ossia il proprio patrimonio così inteso è costituito non solo dal complesso dei beni aziendali, “ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico”.
In estrema sintesi, circa il controllo mediante agenzie investigative, la tutela del patrimonio aziendale può riguardare la difesa datoriale anche in termini della “lesione all’immagine e al patrimonio reputazionale dell’azienda, non meno rilevanti dell’elemento materiale che compone la medesima” (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 8707/2025).
Pubblicazione 14/2025