La Suprema Corte di Cassazione, enunciando il principio secondo cui il ruolo degli steward negli stadi afferisce ad «un’attività non documentata, non intellettiva, che in sostanza si realizza attraverso un mero controllo materiale relativo alla disponibilità del titolo di accesso e della conformità della intestazione del titolo con il soggetto che lo possiede»; ha di fatto stabilito che non può essere loro riconosciuta la qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio in quanto, appunto, risultano meri addetti al controllo dei biglietti di accesso agli eventi sportivi.
Un’attività, proseguono i giudici di legittimità, «rispetto alla quale l’agente, che pure instaura una relazione diretta con il destinatario del servizio, non è in grado di adottare nessun atto conformativo del comportamento di questo, perché, come visto, egli non può che limitarsi, in caso di dissenso, a informare i pubblici ufficiali e, in particolare, le forze dell’ordine».
Infatti, il D.M. 8 agosto 2007, in tema di modalità di svolgimento del servizio, specifica, tra l’altro, che gli steward all’interno dell’impianto sportivo compiono attività di bonifica volta a verificare, prima dell’apertura al pubblico, la stabilità e l’ancoraggio delle strutture mobili, a garantire la rimozione di eventuali oggetti illeciti o proibiti, ad adottare ogni iniziativa utile ad evitare che sia creato ostacolo od intralcio all’accessibilità delle vie di fuga, a verificare la perfetta funzionalità degli impianti antincendio, delle uscite di sicurezza e del sistema di videosorveglianza e, quindi, di presidio dei varchi di accesso all’area riservata dell’impianto, di accertamento della conformità dell’intestazione del titolo di accesso allo stadio alla persona che lo possiede richiedendo l’esibizione di un valido documento di identità (negando l’ingresso in caso di difformità o se sprovvista), di verifica e controllo volto ad evitare l’introduzione di oggetti, strumenti e materiali illeciti atti ad offendere o comunque pericolosi per la pubblica incolumità.
Ciò premesso, quindi, «mentre la sussistenza della qualifica di incaricato di pubblico servizio è stata riconosciuta nei riguardi di quei soggetti che, operando tanto nell’ambito di enti pubblici quanto di enti di diritto privato, siano risultati titolari di funzioni di rilevanza pubblicistica caratterizzate dall’esercizio del potere di adottare in autonomia provvedimenti conformativi dei comportamenti dei destinatari del servizio, con i quali l’agente instaura una relazione diretta, quella qualifica è stata invece negata in relazione alla posizione di quei soggetti che, privi di mansioni propriamente intellettive, nel contesto di quelle strutture siano chiamati a compiere generiche attività materiali in esecuzione di ordini di servizio ovvero di prescrizioni impartire dai superiori gerarchici» (Cass. Sesta Sez. Pen. Sent. 23333/2025).
Pubblicazione 21/2025