È inammissibile il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte di Appello che confermava la sentenza di primo grado con la quale una donna fu ritenuta responsabile del reato di furto aggravato e continuato, affermando che «la tesi sostenuta dal perito, secondo il quale la cleptomania non è una malattia mentale, ma un disturbo del comportamento che incide sull’imputabilità soltanto nel caso in cui si riesca a dimostrare che il reato è stato posto in essere per un impulso improvviso e non controllabile, fosse più attendibile, perché sostenuta da ampia letteratura scientifica, rispetto alla contraria tesi sostenuta dal consulente di parte, il quale ha ritenuto che, a causa della diagnosticata cleptomania, (omissis) potesse essere anche per un tempo prolungato in condizioni psichiche di totale infermità mentale per un crollo della volontà di natura psicopatologica». La stessa sentenza ha inoltre rilevato che «le concrete modalità dei fatti e, in particolare, l’immediata disponibilità di un paio di forbici (che l’imputata custodiva nella borsa e utilizzò per rimuovere gli strumenti antitaccheggio), dimostrano una preordinazione incompatibile con un impulso incontrollato. Ha sottolineato poi che il consulente di parte non ha fornito argomentazioni idonee a contestare la natura programmata dell'azione desumibile dal possesso di un tale strumento» (Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, Sentenza 2657/2023 - Presidente: PICCIALLI; Relatore: VIGNALE).
Pubblicazione n. 37 del 28.11.2023