Politiche di asilo

In sintesi, qui segue ciò che a mio modesto avviso è il nucleo della motivazione della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in tema di procedure ai fini del riconoscimento dello status di protezione internazionale, nonché nozione di “paese di origine sicuro”. Diciamo pure una lettura unicamente in punto di diritto.

Ebbene, tutto verte sull’interpretazione degli artt. 36, 37, 38, 42, 46, 48 della Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, in combinato disposto con l’ALLEGATO I di tale direttiva, nonché alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e degli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950.

Per cui: «l’efficacia del controllo giurisdizionale in ordine al rispetto delle condizioni sostanziali, enunciate all’allegato I alla direttiva 2013/32, presuppone che il giudice adito possa avere accesso alle fonti di informazione sulla base delle quali l’autorità nazionale competente ha proceduto alla designazione del paese terzo di cui trattasi come paese di origine sicuro. Tale esigenza di efficacia implica altresì che detto giudice possa verificare se tale designazione rispetti le condizioni sostanziali enunciate all’allegato I a detta direttiva, tenendo conto di altre informazioni da esso stesso eventualmente raccolte, siano esse provenienti da fonti pubbliche o da fonti di cui ha chiesto la produzione a una delle parti della controversia dinanzi ad esso pendente, a condizione che, da un lato, si sia accertato dell’affidabilità di tali informazioni e che, dall’altro, conformemente al principio del contraddittorio, tali parti abbiano la possibilità di presentare le loro osservazioni in ordine a tali informazioni. Ne consegue che gli Stati membri sono tenuti, in forza dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, ad adattare il loro diritto nazionale in un modo tale da garantire un accesso sufficiente e adeguato alle fonti di informazione sulle quali essi si sono basati per designare i paesi di origine sicuri. Questo accesso deve consentire a un richiedente protezione internazionale originario di un tale paese, e al giudice nazionale investito di un ricorso avverso una decisione concernente la domanda di protezione internazionale, di prendere utilmente conoscenza di dette fonti di informazioni (...). Alla luce dei motivi che precedono, l’articolo 37 della direttiva 2013/32, letto in combinato disposto con l’allegato I a tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro designi come paese di origine sicuro un paese terzo che non soddisfi, per talune categorie di persone, le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I a detta direttiva» [C.G.U.E. (Grande Sezione), Sentenza 1 agosto 2025].

Pubblicazione 24/2025