Diffamazione online

Il caso in esame torna a trattare del reato di diffamazione a mezzo social, ovvero per un post scritto sul profilo facebook pubblico dell’imputato, soffermandosi sul trattamento sanzionatorio, nel senso, secondo la tesi difensiva, della «illogicità della scelta sanzionatoria del Tribunale, che ha optato per una pena detentiva da infliggere al ricorrente, piuttosto che, come possibile in virtù dell’alternatività dell’editto di cui all'art. 595 cod. pen., per una pena soltanto pecuniaria».

Sicché, citando le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di legittimità, «il ricorso alla pena detentiva come risposta sanzionatoria al delitto di diffamazione, a mezzo stampa o non, sia consentito soltanto ove ricorrano circostanze eccezionali», per cui sulla base dell’interpretazione «convenzionalmente e costituzionalmente orientata della norma, invero, l’irrogazione di una pena detentiva, ancorché sospesa, per il delitto di diffamazione commesso, anche al di fuori di attività giornalistica, mediante mezzi comunicativi di rapida e duratura amplificazione (nella specie via Internet), deve essere connessa alla grave lesione di diritti fondamentali, come nel caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza».

Pertanto, dove non trovi «motivata la situazione eccezionale connessa alla grave lesione dei diritti fondamentali che l’ordinamento pone in bilanciamento con il diritto alla libera manifestazione del pensiero ex art. 21 Costituzione, la determinazione della pena come detentiva non è costituzionalmente giustificata, secondo un’ispirazione ermeneutica che proviene dalle affermazioni anche della giurisprudenza del giudice delle leggi» (cfr. Corte Cost. Sent. 150/2021). Infatti, secondo un’ispirazione interpretativa della giurisprudenza del giudice delle leggi, il reato di diffamazione si pone «al centro di un delicato e difficile equilibrio tra il diritto alla reputazione personale e il fondamentale diritto alla libertà di manifestazione del pensiero», ciò anche in considerazione della giurisprudenza della Corte EDU «elaborata con precipuo riferimento alla proporzione della pena detentiva nell’ambito dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica giornalistica, per l’effetto dissuasivo che può determinare sulla libertà di espressione della stampa in generale, considerato il watch-dog della democrazia».

Con ciò, la giurisprudenza UE attribuisce rilievo «al rischio di effetto dissuasivo rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero critico anche in relazione all’esercizio del diritto di critica non connesso con la libertà di stampa […] che, sotto il profilo della natura e della severità della sanzione che fa da contrappeso alla condotta di critica diffamatoria, si traduce in un monito a limitare la necessità della pena detentiva ai soli casi eccezionali» (Cass. Sez. V Pen. Sent. 29840/25).

Pubblicazione 32/2025