Il TAR adito respingeva il ricorso presentato dall’appellante avverso il decreto di rigetto adottato dalla Questura circa la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Il diniego trovava fondamento per la condanna penale a carico dell’istante per i reati di rapina aggravata, lesioni personali aggravate e porto d’arma abusivo aggravato.
Sicché, con l’atto di appello proposto dalla difesa dell’interessato, si contestava l’assenza nel provvedimento gravato di qualsiasi valutazione concreta ed attuale della pericolosità sociale dell’appellante, implicitamente esclusa dal giudice del merito attraverso la sospensione della pena inflitta. Per cui, con unico motivo di gravame, il difensore dell’appellante lamenta che il «Questore si sarebbe limitato a constatare la presenza di una condanna ostativa in capo all’istante, non operando alcuna valutazione concreta e attuale della sua pericolosità».
Aggiungeva, inoltre, che «il gravato diniego sarebbe stato quindi adottato sulla base di un mero automatismo collegato alla commissione di reati ostativi […] nonostante la sospensione della pena (che escluderebbe la pericolosità sociale invece affermata dal Questore), l’unicità dell’episodio criminoso, i forti legami familiari (essendo il soggetto in questione giunto in Italia per ricongiungimento con i genitori), la risalenza del soggiorno (ormai 10 anni) e il rapporto di lavoro a tempo indeterminato (quale operaio); tutti elementi che giustificherebbero l’esclusione dell’automatismo applicato».
Di diverso orientamento, invece, è la prevalente giurisprudenza amministrativa.
Infatti, sebbene in linea di principio la presenza di legami familiari, «ove provati, sia idonea ad escludere ogni automatismo nel rigetto della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno imponendo una valutazione della pericolosità in concreto», nel caso in esame, contrariamente a quanto sostenuto dall’interessato, è stato ben valutato il suo inserimento sociale pervenendo «ad una determinazione negativa all’esito della considerazione complessiva di tutti gli elementi disponibili»; e le argomentazioni a fondamento del provvedimento di rigetto appare coerente e dichiaratamente «esteso alla considerazione dei profili evidenziati dalla difesa appellante ma correttamente bilanciato sulla considerazione della gravità dei reati e del momento temporale di commissione degli stessi, a soli quattro anni dall’ingresso sul territorio nazionale».
Per tali motivi, è legittimo il decreto questorile impugnato (Cons. Stato, Sent. 8318/25).
Pubblicazione 31/2025