Il caso in esame verte sull’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Nello specifico si è trattato di una controversia tra un dipendente pubblico di un comune belga ed i vertici di quest’ultimo ente. Nel merito, ai dipendenti era stato vietato indossare qualsiasi segno visibile che potesse rivelare la loro appartenenza ideologica o filosofica o le loro convinzioni politiche o religiose. Ebbene, chiosano i giudici d’oltralpe, «la politica di rigorosa neutralità imposta da una pubblica amministrazione ai suoi dipendenti al fine di creare al suo interno un ambiente amministrativo totalmente neutro può essere considerata oggettivamente giustificata da una finalità legittima». Sicché, «ogni Stato membro, e ogni ente infrastatale nell’ambito delle sue competenze, dispone di un margine di discrezionalità nella concezione della neutralità del servizio pubblico che intende promuovere sul luogo di lavoro, a seconda del suo proprio contesto. Ciò premesso, tale finalità deve essere perseguita in modo coerente e sistematico, e le misure adottate per conseguirla devono essere limitate allo stretto necessario». In sintesi, è corretto il provvedimento con cui una Pubblica Amministrazione vieti ai propri dipendenti di indossare, sul luogo di lavoro, qualsiasi segno visibile che possa rivelare la loro appartenenza ideologica o filosofica o le loro convinzioni politiche o religiose (Corte di Giustizia UE (Grande Sezione), Sentenza 28 novembre 2023, causa C-148/22).
Pubblicazione n. 40 del 04.12.2023