Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6 della Legge 22 maggio 1975, n. 152 (Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico) – promosso dal Giudice per le indagini preliminari, in funzione di giudice dell’esecuzione, in riferimento all’art. 3 della Costituzione –, nella parte in cui prevede (comma terzo) che “Le armi comuni e gli oggetti atti ad offendere confiscati, ugualmente versati alle direzioni di artiglieria, devono essere destinati alla distruzione”; la Corte Costituzionale ha dichiarato nel merito non fondata la questione di legittimità sollevata. Infatti, scrivono i giudici delle leggi, «Il diverso trattamento riservato alle armi comuni e agli oggetti atti ad offendere rispetto alla generalità delle altre cose colpite da confisca penale, di cui il rimettente si duole, trova giustificazione nella particolare natura degli strumenti considerati. Si tratta, infatti, di oggetti intrinsecamente pericolosi, stante l’estrema gravità delle conseguenze che possono derivare da un loro improprio utilizzo, le quali incidono su beni giuridici primari – la vita umana, la sicurezza e l’incolumità pubblica – che lo Stato ha il dovere costituzionale di tutelare». Sicché, «In questo quadro, la ratio della norma censurata appare agevolmente identificabile nella volontà di evitare che siano proprio gli organi dello Stato a rimettere in circolazione, tramite vendita al miglior offerente (e magari, quindi, a prezzi “di realizzo”), armi che lo Stato stesso ha confiscato» (Corte Costituzionale, Sentenza 208/2023 - Presidente: BARBERA; Redattore: MODUGNO).
Pubblicazione n. 41 del 09.12.2023