Lavorare in carcere

Nel caso qui in esame, i giudici di secondo grado hanno respinto l’appello di INPS confermando la condanna in favore dell’interessato al pagamento della prestazione NASpI denegata in sede amministrativa, riguardo la cessazione dell’attività lavorativa con contratto a termine svolta durante lo stato di detenzione presso la Casa Circondariale ove ristretto.

Ebbene, giunta la causa innanzi i giudici di legittimità, gli stessi, sulla premessa che la disciplina del lavoro intramurario ha subito modifiche con l’evoluzione dei diritti del lavoratore e l’attuazione del principio costituzionale della finalità rieducativa delle pene detentive, hanno ribadito, in primis, che il principio per cui «le peculiarità derivanti dalla connessione tra profili del rapporto di lavoro ed organizzativi, disciplinari e di sicurezza, propri dell’ambiente carcerario non elidono la configurazione tipologica e strutturale del rapporto subordinato intramurario né scalfiscono il nucleo essenziale dei diritti del lavoratore nell’ambito delle tutele costituzionalmente garantite e disciplinate dall’ordinamento».

Sicché, l’evoluzione normativa e giurisprudenziale ha di fatto «eroso nel tempo il carattere di specialità del lavoro intramurario riconoscendo in favore del lavoratore detenuto i diritti spettanti a tutti i lavoratori in genere e le azioni esperibili innanzi al giudice del lavoro, conservando il rapporto la sua causa tipica, la sua funzione economico sociale, inerente allo scambio sinallagmatico tra prestazione lavorativa e compenso remunerativo».

Per cui, da un verso «il lavoro carcerario è tanto più rieducativo quanto più è uguale a quello dei liberi», dall’altro «il rapporto di lavoro del detenuto alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria va considerato come un ordinario rapporto di lavoro, nonostante la sua particolare regolamentazione normativa, assimilazione già affermata in altre pronunce di legittimità». E dunque le peculiarità del rapporto di lavoro «non rilevano ai fini della questione sulla spettanza o meno della tutela previdenziale, per la quale occorre guardare alla natura e funzione della tutela medesima».

Sul punto, quindi, risulta infondata l’ulteriore osservazione svolta da INPS circa l’incompatibilità della «condizione di disoccupazione involontaria del detenuto in ragione dell’indisponibile dichiarazione di incollocabilità al lavoro» (Cassazione, Sez. Lav. Ordinanza 4741/2025).

Pubblicazione 17/2025