Il caso in esame ha riguardato la condanna inflitta ad un «transessuale esercente la prostituzione» il quale, attraverso il profilo social, quindi comunicando con più persone, aveva sostenuto l’omosessualità di un certo soggetto e di aver con lo stesso intrattenuto un rapporto sessuale, nonché lo «aveva apostrofato come frocio e schifoso». Ebbene, poiché le suddette espressioni costituiscono «chiara lesione dell’identità personale, veicolo di avvilimento dell’altrui personalità e tali sono percepite dalla stragrande maggioranza della popolazione italiana», la loro diffusione attraverso l’uso di una bacheca social integra un’ipotesi di diffamazione aggravata in quanto «la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone» (Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, Sentenza 19359/2021 - Presidente CATENA; Relatore SETTEMBRE).
Pubblicazione n. 13 del 28.11.2023