Il caso riguarda un lavoratore portoghese licenziato sulla base di un accertamento del suo comportamento effettuato dal datore di lavoro attraverso un dispositivo GPS (Global Positioning System). La questione giuridica presa in considerazione è se i giudici nazionali del Portogallo abbiano correttamente valutato il conflitto dei diritti contrapposti, cioè da una parte il diritto del lavoratore al rispetto della sua vita privata, dall’altra il diritto del datore di lavoro «al corretto funzionamento della sua attività, compreso il diritto di controllare le spese derivanti dall’uso dei suoi veicoli». Ciò premesso, il licenziamento del lavoratore fu ritenuto legittimo in tutti i gradi di giudizio nelle sedi giurisdizionali portoghesi, sicché, chiosano i giudici della Corte EDU rispetto alle doglianze del lavoratore, non vi è stata né violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto al rispetto della vita privata e familiare), né dell’art. 6 della medesima Convenzione (diritto ad un processo equo), allorché il ricorrente sostenne che la procedura relativa al suo licenziamento si era basata solo sulla raccolta illegittima dei dati di geolocalizzazione accolti dai giudici nazionali. Mentre, al contrario, dalle sentenze si evince che il licenziamento non si è basato unicamente sui dati di geolocalizzazione contestati «ma su un corpus di prove, tra cui il fascicolo del procedimento disciplinare, la relazione tecnica della società informatica» e le dichiarazioni testimoniali (Corte EDU, Strasburgo, dicembre 2022).
Pubblicazione n. 27 del 28.11.2023