Trattamenti inumani e degradanti

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia a risarcire un detenuto per avergli arrecato «un pregiudizio morale certo a causa del suo mantenimento in detenzione senza un programma di cure adeguato al suo stato di salute». Dal fascicolo sanitario del carcere risultava che il ricorrente «continuava a soffrire di un disturbo di personalità e di un disturbo bipolare, e che il suo stato di salute mentale era instabile e caratterizzato da idee di grandezza e di persecuzione al limite del delirio». Inoltre, lo psichiatra del penitenziario «sottolineò che il ricorrente non era affatto consapevole che era malato e doveva farsi curare, e che, per quanto riguarda la terapia farmacologica prescritta, era soggetto a periodi di alternanza tra l’accettazione e il rifiuto». Ebbene, la Corte EDU, oltre a rammentare che lo «Stato è tenuto, nonostante i problemi logistici e finanziari, ad organizzare il proprio sistema penitenziario in modo da assicurare ai detenuti il rispetto della loro dignità umana», ha ribadito che l’eventuale «ritardo nell’ottenimento di un posto non può durare all’infinito ed è accettabile soltanto se debitamente giustificato». Pertanto, siccome «spetta ai governi organizzare il proprio sistema penitenziario in modo da garantire il rispetto della dignità dei detenuti, indipendentemente da qualsiasi difficoltà economica o logistica», la suddetta “indisponibilità di posti” non può considerarsi «come una giustificazione valida per il ritardo nell’esecuzione della misura» (Corte EDU, Sentenza del 24 gennaio 2022 - Ricorso n. 11791/20).

Pubblicazione n. 07 del 28.11.2023