Detenzione domiciliare

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, c. 1, lett. b) (Detenzione domiciliare), Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevate in  riferimento agli artt. 3 e 31, secondo comma, della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Cosenza. Infatti, considerato che la norma in esame stabilisce che “la pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza”, ciò anche quando trattasi di “padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole”; ne deriva, ribadisce la Consulta, che «l’estensione delle medesime regole vigenti oggi per le detenute madri anche ai detenuti padri potrebbe certamente essere valutata dal legislatore, nel quadro di un complessivo bilanciamento tra tutti gli interessi individuali e collettivi coinvolti; ma non può, a giudizio di questa Corte, essere allo stato ritenuta costituzionalmente necessaria dal punto di vista, che in questo giudizio unicamente rileva, della tutela degli interessi del bambino, la quale richiede soltanto che – di regola – sia assicurato al bambino stesso un rapporto continuativo con almeno uno dei due genitori. Ciò che la disciplina censurata indubitabilmente assicura. Ne consegue la non fondatezza della censura formulata in riferimento all’art. 31 Cost., così come di quella – ancillare, nella logica del rimettente – spiegata in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.» (Corte Costituzionale, Sentenza 219/2023 - Presidente: BARBERA; Redattore: VIGANÒ).

Pubblicazione n. 42 del 11.12.2023