In materia di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, nel caso qui in esame con riferimento ad alcune dichiarazioni ritenute diffamatorie dalla parte attrice in un procedimento innanzi al giudice civile, ma, secondo i parlamentari resistenti, al contrario, considerate espresse nell’esercizio delle loro funzioni ai sensi dell’art. 68, comma 1 Cost. (I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni); la Corte costituzionale, sul ricorso del Tribunale ordinario sezione civile, richiamando il proprio consolidato orientamento giurisprudenziale, ha sottolineato che il ricorso deve «identificare con sufficiente grado di precisione il contenuto delle dichiarazioni asseritamente diffamatorie rese al fine di raffrontarlo con quello di eventuali atti tipici della funzione parlamentare», e che pertanto le espressioni ritenute diffamatorie devono essere riportate nel ricorso «in modo esatto ed obiettivo o, al limite, in atti ad esso allegati che il ricorrente espressamente richiami, non potendo questa Corte trarle autonomamente dagli atti del procedimento». Vi è di più, infatti, «non è consentita la sostituzione di quelle espressioni con una libera rielaborazione ad opera dell’autorità giudiziaria ricorrente, in quanto, così operando, si realizza una impropria sovrapposizione tra l’oggettiva rilevanza delle opinioni espresse dal deputato e l’interpretazione soggettiva che ne è stata data, che interferisce con l’accertamento del nesso funzionale tra le frasi pronunciate e gli eventuali atti parlamentari tipici di cui le frasi stesse potrebbero essere la divulgazione esterna». Tant’è, che nel proprio ricorso il giudice rimettente si è limitato ad affermare «che nel corso della conferenza – indetta con il dichiarato scopo di reagire ad un complotto ordito nei confronti del (omissis) – gli onorevoli (omissis) parlavano, tra l’altro, di “mala giustizia” e di “metodi scorretti”, insinuando il sospetto che (omissis) avesse agito sotto le direttive del senatore (omissis), al fine di ottenere prestigiosi incarichi». Perciò, in detto modo, «il ricorrente non ha riferito quali siano le espressioni ritenute diffamatorie per cui è pendente il giudizio civile, ma ne ha liberamente sintetizzato il senso complessivo, il che impedisce a questa Corte di compiere il necessario raffronto tra tali espressioni e l’interpellanza, cui si riferiscono le deliberazioni della Camera dei deputati». Sicché, le suddette «lacune del ricorso determinano l’inammissibilità del conflitto di attribuzione» tra poteri dello Stato promosso nei confronti della Camera dei deputati (Corte Costituzionale, Sentenza 17/2024 - Presidente: Barbera; Redattore: Patroni Griffi).
Pubblicazione n. 11 del 15.02.2024