Telecamere sul lavoro

È legittimo il licenziamento del lavoratore sulla scorta delle videoregistrazioni di telecamere installate nel piazzale esterno dell’azienda, cioè in un’area aperta al transito di soggetti esterni, e non in locali interni riservati ai dipendenti, le quali hanno ripreso il soggetto appropriarsi di beni aziendali.

La Corte d’Appello respingeva il reclamo di un lavoratore confermando la legittimità del licenziamento disciplinare sul presupposto che la contestazione disciplinare fosse conforme ai requisiti di specificità e tempestività, escludendo quindi qualsiasi violazione del diritto di difesa del lavoratore, nonostante le censure di genericità e tardività sollevate dal reclamante.

Ebbene, nel richiamare la giurisprudenza in materia di controlli difensivi, la Corte ha valutato le videoregistrazioni prodotte dalla società come legittime, ritenendo che fossero dirette alla tutela del patrimonio aziendale e non al controllo delle prestazioni lavorative. Per cui la sanzione espulsiva è stata ritenuta come proporzionata rispetto alla gravità della condotta contestata, ossia la sottrazione di beni aziendali, sottolineando che tale comportamento aveva compromesso in modo irrimediabile il rapporto fiduciario tra le parti.

In altre parole, il lavoratore non era specificamente controllato, ma semplicemente investito dal raggio d’azione delle telecamere mentre svolgeva operazioni di carico dei materiali. Pertanto, i giudici di merito hanno correttamente escluso lesioni della privacy dei lavoratori e ravvisato la proporzionalità del mezzo, giacché le riprese erano effettuate in aree visibili e accessibili al pubblico, senza ingerenze nella sfera privata del lavoratore.

Sotto altro profilo, in ordine all’utilizzabilità probatoria delle registrazioni nel processo civile non esiste un divieto, dovendosi procedere invece ad un bilanciamento tra privacy del lavoratore e tutela dell’impresa, che deve avvenire secondo i principi di correttezza, pertinenza e non eccedenza.

Infondata, infine, è la censura con la quale il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente valutato la rilevanza della normativa penale sull’appropriazione indebita (art. 646 c.p.), tant’è che la valutazione della giusta causa di licenziamento non è subordinata al previo accertamento d’un reato, ma si basa su una valutazione autonoma della gravità della condotta e della conseguente rottura del vincolo fiduciario (Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 3045/2025).

Pubblicazione 08/2025