Talune condotte extralavorative possono giustificare il licenziamento del lavoratore sia per la loro particolare riprovevolezza che ne hanno giustificato la rilevanza penale, sia in rapporto alla specifica posizione lavorativa del medesimo chiamato ad operare a presidio degli interessi dell’intera collettività.
La Corte d’Appello adita, in riforma della decisione resa dal Tribunale di prime cure, rigettava la declaratoria di illegittimità del licenziamento irrogato al lavoratore in relazione alle condotte accertate e penalmente sanzionate poste in essere ai danni della ex compagna, concretatesi in plurimi atti persecutori consistiti in minacce gravi e reiterate molestie, causandole, in tal modo, uno stato di ansia, paura e preoccupazione con modificazioni della condotta di vita.
Sul punto, la Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto – diversamente dal primo giudice, che aveva escluso, in ragione dell’attinenza dei reati ascritti ad una sfera strettamente personale privatistica, ogni riflesso, anche solo potenziale, sulla sfera lavorativa e di conseguenza l’idoneità dei reati stessi a compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario col datore di lavoro – che quell’idoneità lesiva del vincolo fiduciario era stata dal datore di lavoro stesso congruamente allegata con la specifica deduzione del fatto in sé, essendo il comportamento extralavorativo dell’istante, per la sua intrinseca ed elevata antisocialità, tale da indurre un riflesso, anche solo potenziale, ma oggettivo sulla funzionalità del rapporto.
Per cui, è da ritenersi privo di censure l’assunto dalla Corte territoriale circa l’incidenza sul rapporto di lavoro del comportamento extralavorativo imputato al ricorrente e la conseguente ricorrenza nella specie della giusta causa di recesso, apprezzamento plausibilmente fondato sull’intrinseca gravità delle condotte medesime e sulla loro particolare riprovevolezza che ne hanno giustificato la rilevanza penale quale reato-sentinella a prevenzione di ben più gravi epiloghi, ed altresì correttamente formulato in rapporto alla specifica posizione lavorativa del ricorrente – con la qualifica di istruttore di polizia municipale –, chiamato quindi ad operare a presidio degli interessi dell’intera collettività (Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 4797/2025).
Pubblicazione 11/2025