I controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano integrare attività fraudolente e fonti di danno per il datore medesimo.
Premesso, che la sentenza impugnata è conforme alla costante giurisprudenza e che, nella fattispecie di causa, il controllo non era diretto a verificare le modalità di adempimento della prestazione lavorativa, bensì la condotta fraudolenta di assenza del dipendente dal luogo di lavoro nonostante la timbratura del badge, visto che l’attività fraudolenta è stata ravvisata nella falsa attestazione della presenza in servizio e nell’utilizzo personale del mezzo aziendale, nonostante il lavoratore fosse autorizzato ad usare detto mezzo solo per motivi attinenti all’attività lavorativa – prescindendo dall’integrazione di una fattispecie di reato o dalla quantificazione del danno, comunque riscontrabile nell’utilizzo improprio della vettura e dell’orario lavorativo retribuito; è ribadito il principio di diritto secondo cui la natura legale della nozione di giusta causa deriva che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di recesso contenuta nei contratti collettivi ha valenza esemplificativa, e non preclude quindi un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.
Sicché, al giudice di merito è devoluto il giudizio di proporzionalità della sanzione, e la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità implica inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili.
Per cui, nel caso esaminato, il lavoratore ricorrente è stato condannato alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del giudizio, più ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione (Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza 3607/2025).
Pubblicazione 10/2025