La Corte costituzionale ha ritenuto infondate le questioni di legittimità dell’articolo 624-bis del codice penale, che prevede e punisce il reato di furto in abitazione. Le questioni erano state sollevate dal Tribunale di Firenze nel giudizio relativo ad una condotta di furto posta in essere all’interno dell’androne di un edificio condominiale.
Sul punto, il Tribunale, dopo aver richiamato la giurisprudenza della Corte di cassazione (da considerarsi diritto vivente), secondo cui le parti del condominio costituiscono “luoghi di privata dimora”, aveva sostenuto il contrasto di tale interpretazione con i principi di ragionevolezza ed offensività (ex artt. 3 e 25 Cost.), osservando che tali spazi sono frequentati da un elevato numero di persone e che, pertanto, in essi non sarebbe ravvisabile alcuna specifica violazione del domicilio inteso come proiezione spaziale della vita privata della persona, quindi a tutela della sua riservatezza, sicurezza ed incolumità.
Il giudice rimettente, in via subordinata, aveva anche sostenuto l’illegittimità della mancata previsione di un’ipotesi attenuata del reato di furto in abitazione, con diminuzione di pena per il caso in cui il fatto fosse caratterizzato da “lieve entità”.
Ebbene, quanto alla prima questione, i giudici delle leggi hanno osservato che la scelta del legislatore di punire con maggiore severità il furto in abitazione va ricondotta alla particolare pericolosità manifestata da chi, al fine di commettere un furto, non esita ad introdursi in un luogo di abitazione, con la concreta possibilità di trovarsi innanzi al soggetto passivo, e ciò sussiste anche quando il reato sia commesso in una immediata pertinenza di tale luogo – come tale destinata allo svolgimento di attività strettamente complementari e strumentalmente connesse a quelle abitative. Per cui il medesimo trattamento sanzionatorio si estende ai furti posti in essere nelle parti comuni del condominio, costituite, appunto, a servizio e protezione delle private dimore ubicate nell’edificio, tant’è che tali spazi, difatti, sono utilizzati a questo scopo dai condòmini senza il consenso dei quali gli estranei non possono accedervi.
Infine, quanto alla questione subordinata, si è osservato che la mancata previsione di ipotesi attenuate non appare irragionevole, essendo riconducibile al rilievo in base al quale la violazione del domicilio non conosce graduazioni di intensità, nel senso, «il domicilio, quale spazio della persona, o è violato o non lo è, essendo pertanto inconcepibile già sul piano logico un ingresso “lieve” nell’abitazione altrui» (Corte Costituzionale, Sentenza 193/2025 - Deposito del 22/12/2025).
Pubblicazione 36/2025