Affidabilità personale

Due decisioni della giustizia amministrativa, diverse nei fatti, ma conformi nella sostanza secondo il principio di affidabilità personale. Il primo caso riguarda il provvedimento con il quale l’Autorità di Pubblica Sicurezza ha disposto la revoca della licenza di porto di fucile per l’esercizio dello sport del tiro a volo; il secondo caso riguarda il provvedimento di revoca della licenza di porto d’armi ad uso venatorio.

Con riguardo al caso di esercizio dello sport del tiro a volo, il ritiro cautelare della licenza di porto di fucile scaturisce dal fatto che “in occasione di spontanea testimonianza nell’ambito di indagini riguardanti terzi”, l’interessato dichiarava “di aver consumato raramente cocaina”, comportamento in evidente contrasto con le disposizioni normative riguardo i “requisiti psicofisici minimi per il rilascio/rinnovo dell’autorizzazione in questione”, secondo i quali costituisce “causa di non idoneità l’assunzione anche occasionale di sostanze stupefacenti”. Per cui, un uso occasionale di stupefacenti può “atteggiarsi a ragione ostativa rispetto al porto delle armi”, e tale valenza impeditiva può manifestarsi se la suddetta “occasione” sia attuale o di significativa vicinanza nel tempo e non costituisca invece un mero fatto “storico” ormai datato. Perciò l’assunzione, pure se “occasionale”, integra il “presupposto ostativo ritenuto sussistente dalla Questura e non necessità di particolari motivazioni” (TAR Umbria, Sent. 706/2025).

Con riguardo invece al caso dell’esercizio venatorio, il giudizio di inaffidabilità all’uso delle armi origina dalla condotta del ricorrente (contrariamente alle disposizioni impartite dal capodistretto, cioè dal responsabile delle squadre di caccia), “allorché, durante un intervento di contenimento della specie cinghiale, avrebbe sparato, mediante una carabina con canna rigata avente capacità di gittata di circa 3.000 metri, due colpi in una direzione diversa da quella preventivamente indicatagli dal capodistretto, mancando il cinghiale e colpendo invece il muro di un’abitazione che si trovava ad una distanza di poco inferiore ai 300 metri e nella quale erano presenti persone”. Ebbene, a seguito dell’intervento degli operatori di polizia presso quell’abitazione per effettuare i rilievi tecnici, il cacciatore dopo aver preso visione dei fori creati dai colpi “si rendeva conto di essere stato lui a sparare e se ne assumeva la piena responsabilità”. Perciò, pur trattandosi di “una violazione colposa delle disposizioni sulle distanze di sicurezza”, pare comunque evidente che la stessa “sia stata macroscopica, tenuto conto della gittata delle armi utilizzate rispetto alla distanza della casa colpita, e che ne sia derivato un rischio assai serio”, come da eloquente “documentazione fotografica dei buchi nel muro” (TAR Umbria, Sent. 740/2025).

Pubblicazione 29/2025